Suscitano grande preoccupazione i dati sulla spesa sanitaria pubblica del 2023 diffusi in questi giorni dalla Fondazione Gimbe secondo cui l’Italia si colloca per spesa pro capite solo al 16mo posto in Europa (6.2% del Pil contro una media OCSE del 6.9%) e in ultima posizione tra i paesi del G7. Dati davvero inquietanti che confermano l’allarme di tante personalità e istituzioni che hanno lanciato appelli al governo perché metta a punto una strategia di investimenti in grado di salvare un sistema sanitario ormai sfinito.
Come è noto il governo si accinge a varare la Nota di aggiornamento di Economia e Finanza (NaDEF) e a discutere sula Legge di Bilancio 2025. In vista di questi importanti appuntamenti fanno molto riflettere i dati diffusi in questi giorni dalla Fondazione GIMBE, dopo un’attenta analisi della spesa sanitaria pubblica 2023 nei paesi dell’OCSE, e quelli 2022 per i restanti paesi.
Nel 2023 in Italia la spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,2% del PIL, un valore ben al di sotto sia della media OCSE del 6,9% che della media europea del 6,8%. Praticamente ben 15 paesi europei dell’area OCSE investono una percentuale del PIL maggiore dell’Italia, con un gap che va dai +3,9 punti percentuali della Germania (10,1% del PIL) ai +0,6 della Norvegia (6,8% del PIL).
Per quanto riguarda la spesa pubblica pro capite dai dati GIMBE risulta che in Italia nel 2023 la spesa sanitaria pubblica pro-capite è stata pari a $ 3.574, ben al di sotto sia della media OCSE ($ 4.174) con una differenza di $ 600, sia soprattutto della media dei paesi europei dell’area OCSE ($ 4.470) con una differenza di $ 896. “Di fatto in Europa – commenta il Presidente – siamo primi tra i paesi poveri, davanti solo a Spagna, Portogallo e Grecia e ai paesi dell’Est, esclusa la Repubblica Ceca”. Dal 2010, per tagli e definanziamenti effettuati da tutti i Governi, la distanza con i paesi europei è progressivamente aumentata. Attualmente il gap raggiunge € 807 pro-capite che, tenendo conto di una popolazione residente ISTAT al 1° gennaio 2024 di quasi 59 milioni di abitanti, si traduce nell’esorbitante cifra di oltre € 47,6 miliardi.
Se poi il confronto si sposta con i paesi del G7 il quadro diventa impietoso: l’Italia è all’ultimo posto. Una situazione estremamente imbarazzante, come fa notare Cartabellotta, nel momento in cui ci dovremo confrontare con gli altri paesi che siederanno al G7 Salute, in programma prossimamente ad Ancona. E’ il risultato di 15 anni di tagli e investimenti insufficienti, che non hanno tenuto conto che il grado di salute e benessere della popolazione condiziona anche la crescita del PIL.
“Dobbiamo aver ben chiaro – commenta il nostro Presidente P. Virginio Bebber – che la vera grande emergenza del Paese, in questo scorcio di secolo, è la sanità. Con grande responsabilità il ministro Schillaci, continua a ripetere in tutte le sedi che la spesa deve attestarsi al 7% del PIL, indicando questa soglia come necessaria per mettere in sicurezza il SSN. Ci attendiamo ora coerenza da parte di tutto il Governo. Ci aspettiamo soprattutto che risulti ben chiaro ed evidente che investire in sanità non è un peso ma una risorsa. E si deve riflettere molto responsabilmente sul disastro che comporterebbe rinunciare ad un SSN capace di garantire a tutti il diritto alla tutela della salute ed in ugual misura, a favore di 21 Sistemi Sanitari Regionali regolati dalle leggi del libero mercato, dove le prestazioni saranno accessibili solo a chi potrà pagare di tasca propria o avrà sottoscritto costose polizze assicurative. Sono in tanti a gridare all’allarme; non ultimi i nostri Vescovi della CEI, alle cui voci uniamo fermamente la nostra”.
Lo dimostrano senza ombra di dubbio i numeri raccolti dal Gimbe che conclude la sua inchiesta invitando il Governo a coraggiose riforme di sistema “per garantire a tutti la tutela della salute, un diritto costituzionale fondamentale e inalienabile. La politica deve avere ben chiaro che la perdita di un SSN pubblico, finanziato dalla fiscalità generale e fondato su princìpi di universalità, eguaglianza ed equità, determinerebbe un disastro sanitario, economico e sociale senza precedenti. E senza una rapida inversione di rotta, da tracciare già nella NaDEF 2024 e, soprattutto, nella Legge di Bilancio 2025, siamo destinati a rinunciare silenziosamente al diritto alla tutela della salute, già compromesso per le fasce socio-economiche più deboli, per anziani fragili e nel Mezzogiorno”.