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La verità da salvare nel caos del politichese

Lo scontro tra partiti e fazioni politiche, si sa, ormai si esprime in una fenomenologia molto ampia e rappresenta una costante in ogni epoca storica. Nel corso dell’Ottocento e del Novecento la conflittualità politica è stata oggetto di riflessione sotto il profilo filosofico, sociologico e di comunicazione. Il giurista e filosofo tedesco Carl Schmitt definiva la politica come la forma di contrapposizione più dura, in quanto basata sulla distinzione radicale tra “amici” e “nemici”. All’origine di questa teoria c’è la concezione dell’uomo come essere per sua natura portato a prevaricare il prossimo per affermare le proprie istanze, e quindi propenso a costituire sodalizi con le persone a lui affini, contro le componenti sociali portatrici d’interessi diversi. La conflittualità – secondo Schmitt - è insita nella società al punto che lo scontro tra fazioni è da considerare un fenomeno fisiologico, e la guerra civile un fatto tipico delle società “politicizzate”. Al cospetto di una radicale ostilità tra le parti – sostiene il giurista – non serve che lo Stato agisca come arbitro garante del pluralismo, ma occorre che intervenga in modo perentorio, valutando cosa sia più conveniente per il mantenimento dell’ordine costituito.

Oggi in Italia le strategie identitarie da parte delle formazioni politiche (e non solo politiche, basti pensare al tifo sportivo per esempio; ma delle prime oggi ci vogliamo occupare) e le logiche dei mass media, si combinano in un sistema che sembra alimentare, piuttosto che ridurre, le spinte aggressive. Ci sembra ormai del tutto normale – perché a questo ci hanno abituato i nostri politici – che l’aggressività alimenti quello che dovrebbe essere un civile confronto tra chi temporaneamente governa e chi, altrettanto temporaneamente, fa opposizione. Ma non è, purtroppo così. Tutto documento dai mass-media, senza dei quali forse non varrebbe nemmeno la sceneggiata.

Se non fosse per i danni che provoca quanto viene mandato in onda, non ci resterebbe che ridere, o forse piangere. Il guaio è che a rimetterci è sempre chi deve capire cosa sta succedendo e non riesce a farlo perché chi dovrebbe informare spesso disinforma o informa male o solo parzialmente, nascondendo cioè ciò che gli fa comodo nascondere.

Questa riflessione oggi nasce dalla conferenza stampa tenuta ieri dalla signora Schlein. Diciamo subito che non intendiamo assolutamente criticare una sola parola di quello da lei detto, così come non abbiamo mai inteso criticare nessuna opinione personale o di partito espressa da chiunque fosse. Né intendiamo esprimere opinioni politiche, né appoggiare l’una o l’altra parte. Non ci compete. Quello che ci preme evidenziare è la necessità di mantenere sempre alta l’attenzione alla realtà dei fatti quando si parla di persone, siano esse fisiche o giuridiche, di associazioni, di categorie eccetera. Soprattutto per evitare di indurre nei cittadini opinioni sbagliate o addirittura convinzioni errate. Per esempio nell’analizzare la situazione sanitaria del Paese, è giusto che ognuno esprima il proprio parere o comunque la propria visione della realtà; quello che non è giusto è fare di tutta l’erba un fascio. Nello specifico - che è poi quello che ci riguarda da vicino e che per noi ormai è divenuto stressante – è l’indice sempre puntato contro la sanità privata in genere, come fosse la vera ed unica causa del collasso del SSN. Si da il caso che le strutture che riuniamo nella nostra associazione, sebbene siano il frutto di un investimento privato, hanno una identità del tutto particolare (che non staremo qui a spiegare) che le ha portate a fare la scelta del servizio non profit e aperto a tutti. Si sono attrezzate tecnologicamente e professionalmente come necessario per offrire e rendere fruibile in sicurezza questo servizio all’uomo fragile. E lo hanno offerto all’allora costituendo SS. Dopo aver superato un’attenta verifica delle autorità preposte, sono state inserite dalla legge nel SSN con la formula dell’accreditamento, come parte integrante del servizio pubblico a tutti gli effetti. E da allora stanno operando, pur tra mille ostacoli, gogne mediatiche, e continue quanto ingiustificate denigrazioni. Accogliendo chiunque e alle stesse condizioni del servizio pubblico. Ed è proprio per il servizio che abbiamo reso e rendiamo se oggi i politici parlano di una nuova sanità fondata su un mix pubblico-privato accreditato. Ma ciò non vuol dire, almeno per quel che ci riguarda, “privatizzare la sanità”. Sia ben chiaro che in una società democratica, tutti hanno diritto ad intraprendere attività legittime, dunque anche aprire Istituti di cura riconosciuti idonei da chi di dovere, ma decidere di operare come una qualsiasi impresa che deve generare profitto e dunque si fa pagare per ogni prestazione. Si mette sul mercato e cerca di acquisire “clienti”. Tutto in trasparenza e legalità. Ma non è quello il privato che finanzia lo Stato.

Il privato che lavora per lo Stato è quello che arriva, in convenzione con il governo e le regioni, là dove lo Stato non riesce ad arrivare per mancanza di strutture, di letti, o di specialisti, e al cittadino non chiede un euro in più di quello che è il ticket previsto anche per il servizio pubblico. Superato insieme, cioè pubblico e privato convenzionato, il dramma del Covid, oggi, sempre insieme, pubblico e privato accreditato, cercano di superare il dramma delle liste d’attesa infinite. E se si chiede di aumentare le prestazioni, di coprire chiaramente i costi maggiori per venire a capo della situazione - cosa che, con le sole strutture statali attualmente in campo, non sarebbe immaginabile – non significa privatizzare la sanità, che resta comunque pubblica con il sistema dell’accreditamento. Significa forse aver capito che non serve demonizzare; serve lavorare insieme e soprattutto serve aiutare la gente a capire come stanno realmente le cose. Saranno poi i singoli individui a decidere liberamente e secondo le loro disponibilità. Importante è assicurare a tutti le stesse possibilità di curarsi; è per questo che l’ARIS è in campo accanto allo Stato nel servire i cittadini.

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