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In attesa del DEF

Ormai è giallo intorno al DEF. Il governo ha varato un Documento di economia e finanza (DEF) 2024 definito 'asciutto'. Ferma restando la necessità di attendere la definizione, da parte delle istituzioni europee, del nuovo Patto di stabilità e relativi documenti programmatici, il Def di quest'anno si limita ad un quadro tendenziale molto simile a quello della Nadef del settembre 2023, rivisitato dopo la pubblicazione degli ultimi calcoli dell’Istat che hanno visto in leggero rialzo il PIL italiano. Non essendo disponibile un testo, voci di corridoio, peraltro né smentite né confermate, rilanciano ipotesi di un Documento “alla cieca”, cioè senza numeri definiti, percentuali a parte. Fantascienza, o forse o solo tentativi di destabilizzazione. L’unica cosa certa è che, proprio alla luce dei riconteggi fatti dall’Istat e della manovra, il finanziamento della sanità – che poi è la cosa che a noi interessa più da vicino – quest’anno si attesta ai livelli più bassi registrati dal 2007 ad oggi: 6,27% del Pil. E la previsione da qui a due anni è che si abbasserà ancora per attestarsi sul 6,2% nel 2026. La Corte dei Conti, lo ricordiamo, raffrontando il finanziamento del SSN nel 2022 - che aveva toccato, nonostante l’evidente flessione, il 6,7%, - con quello dei nostri vicini, ha stimato che anche soltanto per eguagliarlo, occorrerebbero 9,2 miliardi quest’anno e 9,4 miliardi l’anno prossimo.

Se poi sul conto va anche messo l’appello che 14 scienziati hanno recentemente rivolto all'opinione pubblica per alzare il livello di attenzione sul finanziamento al Servizio Sanitario Nazionale - che, secondo il loro parere e soprattutto la loro esperienza, dovrebbe arrivare almeno all’8% del Pil -, allora le cifre diventano ciclopiche: 32 miliardi quest’anno e 37,4 il prossimo. Cifre che al MEF non possono neppure essere sognate e ci si accontenta per l’investimento complessivo di 134 miliardi di quest’anno, cifra, è vero, mai raggiunta prima: 3 miliardi in più quest’anno e 4 previsti per il prossimo. Il fatto però è che nei conti pubblici i valori nominali contano fino ad un certo punto poichè il parametro va messo in rapporto con il Pil, soprattutto all’indomani di una crisi economica così grave come quella che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo ancora in questi ultimi tempi.

Comunque questo è il clima che si respira alla vigilia della stesura di un Documento di economia e finanza che difficilmente potrà dare una risposta esaustiva. Mancano gli strumenti per farlo. Mancano a causa di una questione strutturale, non tanto, e troppo semplicisticamente, politica.

 E’ una situazione che va ben oltre gli sterili dibattiti di parte, qualunque essa sia, che siamo ormi abituati a subire e a sorbire quotidianamente. E va al di là delle responsabilità di questa o quella fazione politica che si sono susseguite al governo del Paese, per brevi o lunghi periodi non importa. Il problema, lo ripetiamo, è strutturale.

Stiamo certamente vivendo da anni e anni una stagione difficilissima, mai tanto anomala come quella che ancora oggi ci ammorba. E non certo per il solo cambiamento climatico. Scostamenti, prepensionamenti, superaumenti di stipendio a manager pubblici decisi in una sola e rapidissima riunione consiliare, bonus di variegata natura con gli extra del “Superbonus”, progetti in cantiere tanto faraonici quanto poco risolutivi per i ben più gravi problemi del Paese, occhi bendati sul malcostume di chi si approfitta del potere conferitogli da cittadini ignari e via dicendo (e ci sarebbe ancora molto da aggiungere a guardare ancor più indietro nel tempo), stanno strozzando ogni possibilità di spesa necessaria per crescere come comunità, come popolo, come Nazione e non come individuo o comunque gruppo di individui. Se non si cambia modo di pensare e di agire, se non si riscopre il senso del condividere la vita che ci è data di portare a compimento, sarà dura, molto dura andare avanti.

Mai perdere la speranza. La storia ci dice che quello italiano è un popolo che sa risorgere dalle macerie. Bene, è giunto il momento di dimostrarlo. Soprattutto per quanto riguarda il bene più prezioso che ancora ci rimane da salvaguardare: la salute. Più che un bene è un diritto valido per tutti, senza distinzione di colori, di razze, genere o religione. Noi ARIS ci siamo e siamo pronti a rimboccarci le maniche e a continuare la nostra missione accanto a chiunque abbia veramente a cuore il bene di chi ci sta vicino e soffre.(V.B).

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