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Dal 13 luglio autonomi, differenziati e spaccati

Il prossimo 13 luglio entrerà in vigore la legge sull’autonomia differenziata, pubblicata in G.U. il 28 giugno scorso. Il provvedimento, come è noto, definisce le norme per l’implementazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario, subordinando alla definizione dei LEP – che dovranno essere individuati con appositi decreti legislativi entro due anni dalla data di entrata in vigore – il trasferimento di determinate competenze dallo Stato centrale alle Regioni in ambiti chiave, tra cui la tutela della salute e la ricerca scientifica e tecnologica e sostegno dell’innovazione per i settori produttivi. Una volta definite, le intese Stato-Regioni avranno una durata massima di dieci anni, rinnovabile per lo stesso periodo.

Chiaramente, il Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Calderoli (promotore del provvedimento), si è detto soddisfatto della promulgazione della legge, appoggiato dalle Regioni governate dal centrodestra, principalmente Veneto e Lombardia, che si sono dichiarate pronte ad avviare le prime trattative con il Governo. Dall’altro lato, invece, le Regioni governate dal centrosinistra – principalmente Toscana, Emilia-Romagna, Sardegna, Campania e Puglia – sono pronte ad indire un referendum abrogativo, appoggiate dai sindacati e da una schiera di associazioni di cittadini che hanno particolarmente a cuore il mantenimento dell’universalità dell’assistenza sanitaria, parimenti garantita a tutti i cittadini e senza privilegi “di residenza”.

Se qualcuno nutriva dubbi su un Paese spaccato in due, alla luce dell’atmosfera che circonda la nascita di questa legge, non potrà che ricredersi. Ma forse l’Italia – limitandoci solo al nostro settore del servizio sanitario - potrebbe spaccarsi ancor di più: oggi è divisa almeno in quattro, considerando che solo 4 regioni del Nord-Centro sono nella possibilità di raggiungere i livelli di assistenza migliori, con un indice di performance superiore al 50% del massimo ottenibile. Sette regioni si fermano tra il 45 e il 50%; sei sono tra il 37 e il 44%. Nel Meridione ci sono le aree maggiormente danneggiate, con quattro regioni con livelli di performance inferiori al 35 per cento. L'analisi è stata eseguita sugli ultimi dati disponibili per ogni Regione da 104 stakeholder riuniti dal C.R.E.A. 

In effetti sono solo 4 le regioni-regine, quelle che naturalmente hanno spinto e spingono per l’autonomia, visto che tra l’altro già fanno man bassa per ciò che riguarda la mobilità sanitaria. Ma quando rientreranno tutte le regioni in regime, cosa che prima o poi dovrà avvenire, verosimilmente l’Italia sarà spezzettata come la maschera di Arlecchino. Quanti si riconosceranno ancora come fratelli veri in Italia?

Certo, prima che comincino a prender corpo le novità ci sarà da attendere. Quanto meno i decreti attuativi. Ma soprattutto, come detto, la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni. E, crediamo, che per definirli ci sarà molto, ma molto lavoro da fare se si vorrà continuare a garantire almeno l’uguaglianza che la Costituzione garantisce a tutti i cittadini italiani. A meno che non si voglia abolire e riscrivere la Costituzione.

Abbiamo pubblicato già le diverse obiezioni levatesi un po’ da ogni settore del Paese contro il provvedimento, non ultime quelle dei nostri Vescovi. Ma c’è in giro ancora tanta confusione sia sulla legge, sia sulle conseguenze che si possono ingenerare, sia sulle iniziative che stanno nascendo nel Paese per opporsi legalmente e pacificamente al provvedimento, chiedendone l’abolizione già al suo nascere.

Crediamo, pertanto, opportuno riproporre una sintesi della legge, in modo da dare opportunità a chi ancora non la conoscesse nei dettagli di esserne almeno consapevolmente informato.

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