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Appropriatezza inappropriata?

“Per onestà intellettuale possiamo intendere l’atteggiamento di correttezza e lealtà che caratterizza chi riconosce, senza farsi condizionare da pregiudizi soggettivi o di parte, la consistenza reale di un fatto o di un’idea, di un’opinione, di un’affermazione altrui”. E’ la definizione della Treccani per questa arcaica locuzione, alla quale a volte vien voglia di ricorrere quando il Ministro Schillaci parla per rispondere ai rumors creati da problematiche, oggetto del suo Ministero. In non poche occasioni, soprattutto in questo così difficile momento della Sanità, chiamato a rispondere su proposte e provvedimenti, è evidente che le sue siano risposte “prioritariamente” in linea con un quadro politico di cui è parte integrante, con tutte le limitazioni che ne conseguono. Viene tuttavia anche da pensare che, forse, se fosse libero da impegni di “maggioranza”, o se magari il suo fosse un Ministero con portafoglio, qualche soluzione reale e concreta in più si potrebbe avere. Per esempio nei giorni scorsi, parlando ad un convegno a Milano, ha riconosciuto alcune fragilità del “suo” DL liste d’attesa”, il quale "non affronta quello che rimane uno dei principali problemi su cui stiamo lavorando da tempo che è l'inappropriatezza prescrittiva. Non è stata toccata dal decreto”. Mentre lui era ed è consapevole della delicatezza di una problematica che, oggettivamente, influisce per una percentuale che oscilla tra il 20 e il 30% proprio sulle liste d’attesa. Ma qualcosa doveva uscire prima di certi appuntamenti e quello che forse aveva lui in programma si infrangeva contro quei limiti di cui sopra. Per cui ci troviamo con un DL che non smuove di una virgola le Liste d’attesa e per di più non affronta problematiche tanto delicate quali, tanto per restare nell’argomento, l’appropriatezza.

Un argomento, quello dell’appropriatezza delle prescrizioni, che tra l’altro è delicatissimo. Tanto che il Ministro - che prima di tutto è medico e quindi è ben consapevole della responsabilità che comporta il rapporto medico-paziente in un ambito che si muove tra medicina difensiva e medicina predittiva – ha assicurato di essere già al lavoro con scienziati e membri dell’ISS per capire come affrontare la questione. Una questione, lo ricordiamo, che chiama in causa proprio il rapporto medico-paziente: la mossa finale spetta al medico che deve tener conto del labile ed incerto confine tra normalità e patologia, tra il prevedibile e l’imprevedibile. Con l’incerto esito che può essere interpretato dal paziente, dai mass media, dal magistrato, come inescusabile errore invece che come semplice insuccesso. Alla domanda inappropriata di certezza del paziente per il suo individuale caso, il medico può offrire solo una appropriata probabilità, talvolta difficile da condividere, soprattutto nell’ambito di algoritmi decisionali amministrativi obbligatori.

Certo è che se il nostro Paese vanta uno dei più alti indici di longevità, ci sarà pure un perché. Forse ora è diventato inutile e troppo costoso continuare a parlare di prevenzione? Ci sono troppi ultraottantenni a pesare sulla Sanità? Se un semplice mal di stomaco fosse curato come una gastrite ed invece celasse un tumore maligno che, se non curato in tempo, porterebbe alla morte, beh pazienza? E vista l’aria che tira con questa declamata autonomia differenziata, l’appropriatezza o l’inappropriatezza sarebbero decise secondo “canoni” uguali in tutte le regioni? Da quello che si sente uscire dalla bocca di qualche Assessore alla Sanità del nord Italia c’è poco da stare sereni. L’autonomia viene citata come un toccasana; c‘è da chiedersi per chi? Lo lascia intuire lo stesso Assessore, certo che “ci consentirà di individuare e offrire quelle specializzazioni che sono più utili al nostro territorio, ma anche avere una maggiore flessibilità delle risorse che arrivano da Roma e creare vantaggi per chi decide di andare a fare il medico di medicina generale per esempio nelle valli della Valtellina o della bergamasca"…poi per il resto dell’Italia ‘fa nulla…’

 Forse senza porci tante mefistofeliche questioni, varrebbe la pena mettere qualche risorsa economica in più sulla Sanità per assicurare, non tanto una maggiore quantità di vita alle persone, quanto piuttosto una migliore qualità di vita, più lunga o più corta che sia e ovunque decidano liberamente di vivere, sicure di poter godere di quell’assistenza che la Costituzione assicura a tutti. 

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